Ayrton Senna

Imola 1 Maggio 2014

Anche se sembra impossibile sono passati venti anni. A distanza di tanto tempo ho ricordato, più di ogni altra sensazione provata quel triste giorno, ho ricordato una cosa che è rimasta sempre lì, latente e sfuocata.

La stessa cosa che, con mia incredibile meraviglia, ho ritrovato negli articoli e nelle tante testimonianze di questi giorni, di chi quel giorno c’era, gli addetti ai lavori e le persone normali, i tifosi e gli appassionati.
Credevo fosse una suggestione legata ad un ricordo tanto forte ma lontano nel tempo.
Invece mi sbagliavo: ho ricordato il silenzio… quel silenzio interminabile che seguì le ore successive all’ incidente.
Il silenzio immobile ed imperituro delle quasi trentamila persone che erano in quel momento testimoni involontari di una morte brutale, e delle oltre centomila presenti in tutto l’autodromo.
Finito il gran premio molti, la maggior parte, rimasero li, come noi, ad aspettare la notizia ormai già ovvia ma che nessuno voleva sentirsi dire.
Spenti i motori delle monoposto, con quel rumore assordante e magnifico, rimanemmo fermi li, avvolti da una prematura afa estiva e dal silenzio.
Il Silenzio più assordante che io abbia mai ascoltato!
Ritrovarmi oggi con tantissime persone arrivate da ogni angolo del mondo, mi ha aiutato a capire perché sono tornato dopo tutti questi anni.
Il nonno e la sua nipotina, che dubito fosse nata nel ’94, assorta nella sua reflex come se aspettasse di vederlo comparire davvero, Ayrton.
Il byker metallaro vestito di tutto punto che si inginocchia davanti alla sua statua, piangendo mentre accende un piccolo cero che nemmeno mia nonna di fronte a San Giorgio.
Il comico di Zelig in fila con tutti gli altri per entrare nel museo appena inaugurato.
La signora brasiliana con il suo modo di parlare meraviglioso, le foto, le bandiere di tanti paesi diversi e distanti, le poesie, le lettere.
E poi un 36enne che torna dopo 20 anni, per raccontargli, ad Ayrton, che il suo meraviglioso fratello peloso vissuto 13 anni lo aveva chiamato con il suo stesso nome, in suo onore ed in perpetuo ricordo.
Per raccontargli che durante questi 20 anni spesso, nei momenti peggiori, la mente andava proprio a lui, a quello strano uomo con il casco giallo e lo sguardo un po’ triste, nato privilegiato come pochi e per questo ossessionato quasi all’ esasperazione dal bisogno di restituire in qualche modo tanta fortuna a chi non ne aveva avuta affatto.
Ricordando lui mi sono spesso ricordato che anche noi, privilegiati in un mondo troppo spesso macchiato dalla miseria e dalla disperazione di chi è stato meno fortunato, facilmente ce ne dimentichiamo, della nostra fortuna.
Abbiamo il dovere di non lamentarci mai e di lottare con costanza e coraggio perché questo mondo possa diventare un posto migliore per tutti.
Fino al primo maggio del 1994 Ayrton Senna era stato il pilota più veloce di tutti, figlio di un’epoca costellata di grandissimi Campioni.
Vincente e aggressivo all’esasperazione, odiato da molti colleghi e altrettanti tifosi che non sopportavano la sua superiorità e la sua apparente superbia.
Il giorno dopo si scoprì anche l’uomo, che correva per vincere ma correva soprattutto per aiutare i bambini poveri, destinati ad una vita atroce e probabilmente breve, dandogli un tetto, un sostentamento e l’istruzione necessaria per creare l’opportunità di una vita migliore.
Oggi ero lì per ringraziarlo e per dirgli che finalmente lo ho compreso quel silenzio, e lo porterò, lo porteremo nel cuore tutta la vita.
Grazie Ayrton, quel giorno maledetto di venti anni fa in cui Dio ha chiamato a sé uno dei suoi figli migliori, con il nostro silenzio, noi poveri esseri normali, abbiamo reso omaggio ad un Re…
Con il casco giallo e lo sguardo triste…
Ci rivedremo ❤️
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Se una persona non ha più sogni, non ha più alcuna ragione di vivere. Sognare è necessario, anche se nel sogno va intravista la realtà. Per me è uno dei princìpi della vita.

Ayrton Senna da Silva